società costituite da due unici soci, coniugi in comunione legale


 

Not. Matteo Farassino premette

 

à “... e pensare che una Srl con unici soci i due coniugi in comunione dei beni è l'unica società che costituirei senza pormi problemi previo versamento dei 10 decimi ! ” e segnala:

 

La questione della possibilità dell'esistenza di società regolarmente costituite, i cui unici soci siano due coniugi in regime di comunione dei beni, è ignorata dal legislatore.

 

Poiché la dottrina ha espresso numerose e discordanti opinioni in merito alla sua ammissibilità, è opportuno esporre in sintesi i vari orientamenti, distinguendo tra la partecipazione in società di persone, generalmente comportante responsabilità illimitata, e in società di capitali, con conseguente limitazione della responsabilità.

 

 


teoria della nullità della società di persone tra coniugi.


 

Taluno ritiene che la società tra coniugi sia nulla per mancanza del requisito della pluralità dei soci, in quanto la comunione costituirebbe un centro

autonomo di imputazione di rapporti giuridici, dando origine ad un patrimonio indipendente, distinto da quelli singoli dei coniugi, e, quindi, ad un soggetto di diritto.

 

Data la comunione dei beni, non si avrebbe una pluralità di soci, ma un unico socio, vale a dire la comunione, assurta a soggetto di diritto.

 

Tale orientamento ha scarso seguito, poiché la dottrina prevalente nega che la comunione legale costituisca un soggetto di diritto, unico centro di imputazione di rapporti giuridici, ma la ritiene invece un oggetto di diritto, distaccato dai patrimoni dei coniugi, che restano due entità distinte, e quindi, con riferimento alla questione in esame, possono essere intesi come una pluralità di soci.

 

Non sarebbe, pertanto, lecito dubitare dell'esistenza di un'autonomia patrimoniale individuale idonea a consentire ai coniugi la conclusione di rapporti societari per i quali sia essenziale la pluralità dei soci.

 

 

Talaltro afferma la nullità della società di persone contratta tra soli coniugi in regime di comunione a causa della sua contrarietà a norme inderoga-

bili, data la natura cogente degli articoli che disciplinano l'azienda gestita da entrambi i coniugi.

 

L'art. 177/d), c.c., è norma imperativa e prescriverebbe un modello esclusivo ed inderogabile per l'esercizio in comune di attività imprenditoriale da parte dei coniugi: la costituzione di una società per lo svolgimento congiunto di attività economica, con conseguente assunzione di responsabilità illimitata, sottrarrebbe l'impresa coniugale alle norme della comunione legale che espressamente la disciplinano.

 

Le regole imperative in tema di azienda coniugale sarebbero incompatibili con la normativa societaria, specialmente per quanto attiene alla amministrazione, alla parità delle quote ed alla responsabilità per le obbligazioni.

 

Di conseguenza, due coniugi in comunione dei beni non potrebbero partecipare quali unici soci a società comportanti responsabilità illimitata, né al momento della loro costituzione, né mediante successivo acquisto di quote, poiché il contratto sociale dovrebbe ritenersi nullo per contrarietà a norme inderogabili.

 

 

I coniugi in regime di comunione, per partecipare a società, al fine di esercitare in comune l'attività economica, possono:

 

1.      optare per il regime della separazione dei beni;

2.      escludere con apposita convenzione matrimoniale ex artt. 162 e 191, c.c., l’azienda coniugale dalla soggezione al regime legale;

3.      stipulare una convenzione matrimoniale volta ad estromettere dalla comunione legale non l'azienda, ma le quote di partecipazione di partecipazioni alla società, essendo queste oggetto della comunione legale in quanto beni acquistati da parte dei coniugi, ai sensi dell'art. 177/a) c.c.

 

 


 

Trib. Casale Monferrato 30.03.1979

Giur. comm., 1980, II, pag.  229

 

La convenzione di esclusione è necessaria solo quando i coniugi conferiscono nella società beni facenti parte della comunione fra loro esistente.
L'esclusione dell'azienda dalla comunione attraverso apposita convenzione è l'unica via per poter costituire una società in nome collettivo.

 

 


teoria che ammette la società di persone tra coniugi.


 

Trib. Reggio Emilia 02.03.1981

Vita not., 1982, pag. 634

 

La costituzione di società in nome collettivo tra coniugi in regime di comunione legale non comporta modifica convenzionale alla comunione legale dei beni.

 

L'utilizzazione da parte dei coniugi dello strumento legale della società collettiva per l'esercizio in comune di una attività
economica, rientra nell'esercizio della autonomia di ciascun coniuge, che non incontra limitazione nel regime di comunione legale, non contrastando con i principi che regolano l'istituto.

 

Non può negarsi un palese interesse dei coniugi ad utilizzare uno strumento diverso (quello societario) per l'esercizio in comune di una attività economica.

 


Parte della dottrina ritiene, così, ammissibile la società di persone tra soli coniugi in regime di comunione legale, senza che si debba ricorrere allo

            scioglimento totale o parziale della comunione:

 

1.      La società regolare tra i coniugi svolgerebbe la funzione di gestire l'azienda oggetto della comunione tra i soci, realizzando così la contemporanea applicazione in campi diversi sia della normativa societaria, che della comunione.

 

2.      La liceità della società di persone a cui partecipino solo due coniugi in comunione, è argomentabile dall'art. 230-bis, c.c., per il quale le norme in tema di impresa familiare sono applicabili solo in via residuale; analogamente, anche l'art. 177/d), c.c., regolerebbe un fenomeno residuale, per cui la disciplina prevista per l'azienda coniugale troverebbe applicazione soltanto nella ipotesi in cui mancasse una diversa pattuizione delle parti. Quindi, sarebbe sufficiente la costituzione di una società perché questa operasse automaticamente e prevalesse sulla disciplina della comunione legale.

 

3.      Qualora si negasse l'ammissibilità della società di persone a cui partecipino solo due coniugi in comunione, sarebbero violati i principi sanciti dalla Costituzione a tutela della uguaglianza dei cittadini e della libertà di iniziativa economica.

 

4.      La società tra coniugi è fattispecie distinta e separata rispetto all'azienda coniugale prevista dall'art. 177/d), c.c., riferibile alle sole imprese gestite in comune dai coniugi quali soci solamente di fatto, in mancanza di specifici accordi contrattuali.

 

5.      La società tra coniugi sarebbe quindi disciplinata dall'art. 178 c.c., regolante l'impresa di uno solo di essi, che in questa ottica viene interpretato estensivamente in base alla considerazione che la posizione dell'imprenditore individuale e del socio illimitatamente responsabile sono assimilabili tra loro, sul presupposto della sostanziale identità di forme e modalità operative riscontrabile tra esercizio individuale di impresa e collettivo, tramite società di persone con soci illimitatamente responsabili.

 


società di capitali costituite da due unici soci, coniugi in comunione legale


 

La dottrina prevalente ritiene infatti l'ammissibilità di tale fattispecie, sia nell'ipotesi di costituzione della società da parte dei coniugi, che di suc-

cessiva loro acquisizione dell'intero capitale sociale.

 

A sostegno di questa affermazione si rileva in primo luogo come nessuna norma del Codice possa essere ritenuta ostativa all'esistenza di tale figura.


Inoltre, si evidenzia sia come i coniugi configurino una pluralità di soci, essendo essi due soggetti autonomi e distinti, caratterizzati da interessi patrimoniali diversi, sia come non possa ritenersi unico socio la comunione quale entità indipendente (37).


Pertanto, sarà riscontrabile una persona giuridica società , dotata di soggettività e patrimonio autonomi rispetto a quello dei coniugi soci, la cui attività sarà assoggettata alla normativa societaria, salvo che per l'amministrazione delle quote che resteranno comunque oggetto della comunione.

 

Il capitale sociale non apparterrebbe ad un solo soggetto ma ai due coniugi, si da risultare inapplicabile l'art. 2362, c.c., e della conseguente responsabilità illimitata per l'unico socio.

 

 


società tra coniugi in regime di comunione e terzi


 

Cass. 18.08.1994, n. 7437, Vita not., 1995, pag. 839

Cass. 12.12.1986, n. 7409, Foro it., 1987, I, pag. 1101

Cass. 27.01.1984 n. 640, Giust. civ., 1984, I, pag. 3090

Trib. Reggio Emilia 17.12.1984, Riv. not., 1985, pag. 440


È ammessa la partecipazione congiunta o separata di coniugi a società di capitali con i terzi, generalmente comportanti la limitazione della responsabilità; né si riscontra nella normativa della comunione legale alcuna norma che impedisca tale possibilità.


Gli acquisti di partecipazioni sociali comportanti responsabilità limitata ricadono in comunione legale ai sensi dell'art. 177/a c.c.

 

 


 

La dottrina prevalente ammette la partecipazione nelle società di persone, solitamente a responsabilità illimitata dei soci, insieme ai terzi sia di un solo coniuge, che di entrambi: l'intervento del terzo che gestisce l'impresa collettiva insieme ai coniugi impedisce la configurabilità della comunione legale, rendendo questo genere di attività comunitaria del tutto incompatibile con l'impresa coniugale ex art. 177/d, c.c., e quindi soggetta esclusivamente alla disciplina societaria.

 

La comprensione di quote sociali in un fondo patrimoniale sarà possibile solo nel caso in cui siano rappresentate da azioni, vale a dire titoli di credito nominativi; in tale ipotesi, si dovrà di conseguenza procedere alla annotazione del vincolo sia sul titolo che sul libro dei soci.